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La Residenza dell’Ambasciatore

10.04.2019 - Artikel

Rapporto sul valore storico-artistico della Residenza dell’Ambasciatore tedesco presso la Santa Sede

La fontana davanti alla residenza
La fontana davanti alla residenza © Ambasciata di Germania presso la Santa Sede

Grazie all’edificio della Residenza dell’Ambasciata tedesca presso la Santa Sede, progettato da Alexander Freiherr von Branca, la Repubblica Federale di Germania dispone di una costruzione eccezionale che riveste un ruolo particolare rispetto ai tanti edifici delle rappresentanze diplomatiche internazionali della Città eterna. L’opera edilizia realizzata tra il 1979 e il 1980 è sostanzialmente l’unico edificio moderno a ospitare un’ambasciata. Normalmente gli ambasciatori presenti a Roma risiedono in antichi palazzi o ville, e ciò valeva in passato anche per gli ambasciatori tedeschi, tuttavia a causa delle espropriazioni seguite alla seconda Guerra mondiale la Repubblica Federale ha avuto l’occasione di erigere un complesso architettonico contemporaneo.

Al Ministero Federale degli Affari Esteri va il merito di aver avuto la lungimiranza e la sensibilità di affidare il progetto di un edificio così inusuale per Roma a uno degli architetti tedeschi più eminenti del tempo. Alexander von Branca era già divenuto celebre grazie a numerose chiese e soprattutto al progetto della Nuova Pinacoteca di Monaco di Baviera. Alle chiese che progettò conferì spesso l’aspetto di roccaforti. Per von Branca, un fervente cattolico, ciò doveva rendere manifesto quella che riteneva essere l’essenza della fede, ossia trasmettere sicurezza e sostegno.  

Cortile interno
Cortile interno © Arnaldo Vescovo

Questo erudito architetto, dotato di esperienza e sensibilità nel rapportarsi con il patrimonio storico culturale, tenne conto di diversi criteri per l’edificio dell’Ambasciata a Roma. L’architettura romana antica con il suo impiego di laterizi poco spessi lo portò a scegliere questo materiale, del quale sono fatte anche le mura romane erette nel 270 sotto l’imperatore Aureliano e a cui si richiamano le grandi mura parietali dell’edificio. Lo slancio verticale nella forma architettonica dell’edificio dato dalle torri e dai comignoli ricorda le roccaforti medievali. In tal modo von Branca intendeva rimandare esplicitamente alla storica tradizione del rapporto tra imperatore e impero. Dal suo punto di vista gli edifici sorti sotto l’imperatore Federico II incarnavano con la loro “chiarezza e monumentalità discreta” l’esempio di un’architettura moderna di “chiara semplicità”.

Von Branca concepì l’edificio come una sequenza di diversi volumi che emergono attraverso grandi superfici chiuse e pochi elementi verticali mirati. Già all’ingresso von Branca rompe il chiaro concetto rettangolare di orizzontale e verticale mediante l’inserimento di elementi architettonici semicircolari e circolari: si inizia con la fontana all’entrata e si prosegue poi nei dettagli, come la pensilina del portale di ingresso, la finestra a lunetta posta al di sopra, il giardino a semicerchio davanti alla sala da pranzo e le sedute semicircolari nel salone.

Tra i grandi punti di forza di questo progetto vi è il fatto che l’architetto ha tradotto le forme principali dell’edificio anche nell’ammobiliamento, forgiando così un’unità indissolubile tra costruzione e arredo. Branca riprende la struttura della parete di laterizi per la costruzione dell’atrio d’ingresso che con la sua scala a chiocciola semicircolare amplia il principio già enunciato di rottura dell’angolo retto palesando la compenetrazione di spazio interno ed esterno in questo luogo. Al contempo con l’impiego di porte nere, che presentano un leggero strozzamento dello stipite per sottolinearne la forma slanciata, l’architetto passa al concetto di colore delle sale interne, costituite da una serie di stanze di diversa altezza che si aprono con grandi vetrate verso il giardino. Le grandi pareti sono bianche, tutte le porte e i mobili sono di legno nero, il soffitto nella sala da pranzo principale e in quella piccola è dipinto da artisti rinomati, nel salone e nella biblioteca si è mantenuto il legno grigio. Nelle due sale da pranzo una modanatura di legno scuro accompagna il passaggio dalle pareti ai soffitti dipinti, i quali nonostante la scarsa altezza delle stanze risultano fluttuare con leggerezza grazie a tale artificio.

Gli angoli retti del salone rettangolare di due piani sono interrotti dalle sedute semicircolari con rivestimenti color crema e schienali che presentano il motivo dello stipite strozzato, consentendo quindi all’edificio e all’arredamento di dialogare l’uno con l’altro; i tavoli neri e i tavolini con lastre di vetro progettati anch’essi da von Branca riprendono lo schema rettangolare ma con grande leggerezza e trasparenza. Non sembrano imponenti bensì aggraziati e questo conferisce eleganza e confortevolezza allo spazio che ricorda una grande sala di castello con l’alto soffitto a travi.

Nella sala da pranzo grande le sedie e i sideboard sono stati accordati alla forma delle porte. È stato necessario sostituire le sedie con una forma leggermente modificata per motivi di sicurezza, ma si è preservato il principio della compenetrazione di elementi architettonici e arredamento; ciò offre a questa sala molto spaziosa notevole armonia ed equilibrio. Particolarmente bello è l’effetto specchiato del dipinto sul soffitto di Hann Trier nella lastra centrale laccata del tavolo estraibile, i cui spigoli semicircolari rievocano la concezione generale dell’edificio. Anche i sideboard sono aggraziati ed eleganti.

Da lodare da questo punto di vista è altresì la scelta del pittore Hann Trier (sala da pranzo grande) e Peter Schubert (atrio d’ingresso e sala da pranzo piccola) con cui il Ministero Federale degli Affari Esteri di allora ha voluto scegliere un arredamento di altissima qualità. Non vi sono esempi simili a Roma. I due pittori erano particolarmente apprezzati grazie ai loro affreschi sul soffitto del castello restaurato di Charlottenburg a Berlino; Hann Trier si annovera tra i pittori più noti di quel tempo in Germania.

Anche i mobili della biblioteca sono stati progettati da von Branca e rappresentano una variazione dello schema noto.

La stanza completamente bianca con il camino situata alla fine della fuga di stanze funge da accordo finale grazie alla sua grande luminosità e ai colori brillanti. Una panchina di marmo bianco con cuscini color crema segna il passaggio verso il camino, anch’esso di marmo bianco; una vetrina tra le finestre contribuisce al carattere luminoso e leggero di quest’ambiente, che con la sua eleganza si annovera certamente tra le stanze più insolite di Roma.

Branca ha alleggerito la sua sobria composizione di colori basata sul bianco, nero e grigio conferendo degli accenti colorati mediante le pitture su soffitto, gli antichi arazzi e i bei mobili d’epoca. L’intelligenza di questa scelta di colori diviene immediatamente chiara se si pensa al vestiario indossato dai membri della Curia romana che costituiscono i principali visitatori di questa casa. Le vesti talari sono nere, ma a seconda del rango hanno pistagne viola o rosse; a questi si aggiungono i corrispondenti zucchetti colorati. L’abito cerimoniale è inoltre completamente viola o rosso porpora per i cardinali – si tratta quindi di colori accesi, che fra l’altro “cozzano” tra loro. L’arredo di von Branca dà a questi colori sontuosi la possibilità di esprimersi al meglio, senza creare concorrenza né accostamenti antiestetici.

Con questa compenetrazione di architettura e arredamento von Branca è riuscito a creare un capolavoro: le congratulazioni non possono quindi che andare al Ministero Federale degli Affari Esteri. Quanto sia grande l’apprezzamento di cui gode quest’opera architettonica a Roma lo dimostra il fatto che l’Ambasciata sia stata inserita nella lista di edifici da visitare per la Giornata Open House di quest’anno, affiancandosi così ai grandi palazzi romani.

Branca ha progettato un edificio chiaro e sobrio e gli stessi criteri sono visibili anche nell’arredo. Al Vaticano non preme di fare sfoggio di eleganza, bensì di avere “carattere, dignità e grandezza”, come formulato da Monsignor Kemper; preme l’“adeguatezza”. L’edifico e l’arredo trasmettono proprio questo al visitatore: l’Ambasciata è un’opera d’arte totale che è degna espressione dello Stato che rappresenta.

Alexander von Branca è morto nel 2011. “Quali edifici di Suo padre saranno particolarmente importanti tra 100 anni?”, a questa domanda la figlia dell’architetto, Alexandra von Branca, che porta avanti lo studio di famiglia ha risposto: “penso i musei, le Ambasciate di Madrid e presso la Santa Sede a Roma, e le sue prime chiese”. Diversi suoi edifici sono già classificati come beni culturali.

Questa costruzione si annovera tra le opere più eccezionali di von Branca ed è tutelata sia nella sua sostanza architettonica che nell’arredo dal diritto d’autore. I suoi eredi possono ricorrere alla tutela del diritto d’autore e devono essere consultati prima di eventuali modifiche.

Dovrebbe comunque essere orgoglio e premura del Ministero Federale degli Affari Esteri tutelare e curare questo gioiello.

Prof. Dr. Elisabeth Kieven

Direttrice

Bibliotheca Hertziana

Istituto Max Planck per la storia dell’arte, Roma

Roma, 30 marzo 2012

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